Libero e la guerra dei Talebani

di Alberto Bullado.

Io ho sempre raccomandato a tutti di leggere Libero, il quotidiano della premiata ditta Belpietro-Feltri. Perché è un giornale asprigno, scorretto e divertente. E lo dico con un po’ di ironia, si capisce, ma non troppa.

12 aprile. Giampiero Mughini scrive una recensione, che non è una recensione ma una critica, tutto sommato corretta, almeno nei toni (vedremo perché), sul nuovo libro di Massimo Fini, Il Mullah Omar (Marsilio Editori). Mughini dice di “conoscere bene il pollo” ed in effetti se uno ha già letto quello che scrive Massimo Fini sa già a cosa andrà incontro anche senza scorrere una pagina di questo saggio, nel quale vi si può trovare un’appassionata biografia del guerrigliero afgano. In ogni caso raccomando la lettura di un simile libretto, così come qualsiasi altra opera di Massimo Fini, soprattutto a coloro che magari non l’hanno mai sentito nominare (non è un intellettuale solito esporsi in vetrina) e che di conseguenza non hanno mai potuto apprezzare la sua controversa forma mentis. Semplificando all’osso: a Massimo Fini non piace come si comporta l’Occidente, così come non gli va a genio il nocciolo duro di una cultura fondamentalmente totalitaria, pervasiva ed espansionista come la nostra. Lui ce l’ha con la democrazia, intesa come involucro legittimante di poteri non legittimi, e con chi la vorrebbe esportare in giro con le bombe. Per contrappasso Massimo Fini rispetta (anzi apprezza, e magari tifa per) tutta quella serie di culture “barbare”, di cui è profondo conoscitore, che con l’Occidente non vogliono avere nulla a che fare e che invece sono costrette a subire l’ingerenza, alle volte violenta e niente affatto eroica, delle nostre forze armate. Classico esempio è l’Afghanistan. Le argomentazioni di Fini sono più o meno congruenti con le tesi contenute in un saggio che Conaltrimezzi ha pubblicato in tre parti in questo stesso blog (Afghanistan: la guerra più infame della nostra storia).

Fin qui nulla di male, se non fosse che la prosa di Fini ostenta alle volte una lingua niente affatto ingentilita dai soliti buonismi di costume ed eccede in una retorica, da verificare quanto genuina, piuttosto arrembante, battagliera, sanguigna, in favore dei nemici dell’Occidente, visti da qualcuno, e noi sappiamo chi, come il Male Assoluto. Vedi, appunto, il Mullah Omar. Tuttavia stiamo sempre parlando di dispute intellettuali niente affatto gratuite, accompagnate da argomentazioni alle volte piuttosto plausibili, anche se controverse, che mettono in campo ora fatti concreti, ora valori più demodè come coraggio, fierezza, caparbietà, valentia, che il nostro placido pacifismo, ipocrita ed adiposo, considera un tantino borderline. Ad ogni modo, questo è Massimo Fini, un «chevalier seul» (parole sue), prendere o lasciare.

Poi arriva Mughini. Premessa: tra i due non corre buon sangue. Fini più volte lo ha denigrato in quanto ex sessantottino, intellettuale di flanella, poser. Immaginate quindi il mio interesse nel vedere l’opinionista, radiato dall’Ordine dei Giornalisti nel 2007, ex Lotta Continua, ora comodamente insidiato nella redazione di Libero, commentare l’ultimo indigeribile libro di Fini. Il nostro, in soldoni, concede al “cane sciolto” di pensarla come vuole. Riconosce le atrocità di una guerra che se non è illegittima è almeno “inelegante” (è scorretto bombardare indiscriminatamente guerriglieri e civili da diecimila metri) e inoltre concorda che l’Afghanistan è un inferno tremendo. Indi per cui meglio starsene in Occidente: «Mai e poi mai scambierò lo scorcio di una strada occidentale con i suoi negozi e le sue minigonne e le sue libertà e le sue razze e religioni mescolate e fuse assieme, voglio dire uno scorcio di Parigi o di Zurigo o di Amsterdam o di New York o di Milano, con null’altro al mondo». Chapeau.

La risposta puntuale di Massimo Fini è un copia-incolla dei suoi vecchi articoli dove si riassumono i punti centrali della critica antioccidentale sulla faccenda Afghanistan: l’incorruttibilità di un popolo e delle sue guide spirituali-militari, antidemocratiche quanto vogliamo ma sincere e di gran lunga più rappresentative di un Renato Schifani che come per magia spunta fuori dalle urne alla stregua di un coniglio dal cilindro; i meriti politici e militari di sto benedetto Mullah Omar; le ipocrisie occidentali a proposito del burqa (una delle motivazioni che solleveranno un gran polverone); e ancora l’illegittimità di una guerra dalla portata distruttiva non solo per le perdite umane ma anche per un’infinità di implicazioni colleterali. Fin qui nulla di trascendentale. Cose già sentite, lette e rilette ma che qualcuno farebbe bene a ripassare. Tuttavia, malgrado i presupposti e l’inamicizia tra i due, non ci scappa alcun insulto, nemmeno a denti stretti. Un botta e risposta pacato, civile, quasi affettuoso. Chiusa la faccenda? Macchè.

Libero decide di dare spazio all’artiglieria pesante. Ed ecco quindi l’inserimento nel dibattito di Maria Giovanna Maglie, che per chi non lo sapesse è costei (che altro aggiungere?). Qui i toni si inaspriscono, la polemica si fa più calda, ma non è un caso che Massimo Fini sia costretto a sorbirsi le bordate sopra le righe di una donna (tra l’intellettuale ed il sesso femminile, infatti, non scorre buon sangue). La Maglie tuona una serie di improperi, forte del sostegno di un codazzo di sostenitrici, tra le quali la deputata del Pdl Souad Sbai. Il libro dell’intellettuale di casa Marsilio viene così messo all’indice come un testo indegno, scandaloso, inaccettabile. Si respira aria di inquisizione, scatta infatti la denuncia, e di crociata. Nel ritorno di una certa propaganda di sapor tardomedievale, che sarebbe stata tanto cara alle bocche di fuoco dei bombardieri di Bush e del “War on Terror”, ci si chiede come questa dottrina non sia ancora passata di moda malgrado le evidenti conseguenze storiche, militari, diplomatiche, culturali, umane, oramai sotto gli occhi di tutti. Ma tant’è, ognuno può dire quello che vuole, anche se si tratta di un incasinato potpourri dove si mischia la retorica espansionista dell’arrivano i nostri (esportazione di libertà e democrazia con le armi), con l’immigrazione selvaggia, i diritti e la tutela delle donne, le moschee abusive, Bin Laden, il terrorismo, le radio islamiche in Italia, la libertà di pensiero e Renato Schifani (ancora lui). De gustibus… tuttavia non sta in tasca il fatto che per contestare un pamphlet ed il suo autore si ricorra al tribunale ed alla censura. Per un motivo, prima ancora che di bontà intellettuale, di logica: questi procedimenti non vanno quasi mai a buon fine e servono quasi esclusivamente ad aumentare l’attenzione di chi in realtà si vorrebbe colpire (la Marsilio si sta fregando le mani: nel frattempo ha rilasciato un prevedibile comunicato nel quale si contesta il ricorso legale).

L’impressione è che in questo caso si abbia a che fare con persone che, per quanto hanno il sacrosanto diritto di esprimersi, non dimostrano quasi mai una genuinità intellettuale, o quantomeno quella lucidità argomentativa richiesta a chi scrive nei giornali o a chi sostiene certi toni, che sicuramente si confanno a salotti televisivi trash nei quali la Maglie si trova a suo agio. Invece qui l’isteria sembra prendere il sopravvento. Qualcuno potrebbe commentare con un pizzico di cattiveria: “sono donne…” e deve averlo pensato anche Massimo Fini, ci scommetterei. La cosa forse non gli farebbe onore (anche se si tratterebbe di un pensiero partorito dalla mente di molti maschi italiani, magari intimamente sodali con la corrosività del “chavalier seul”), ma la sensazione è quella che le medesime disquisizioni della Maglie sarebbero potute uscire dalle tumide boccucce di un Ferrara o di un Gad Lerner qualsiasi. Maschi tutto d’un pezzo che in simili dispute ci sguazzerebbero come sirenette.

Ok. Finita qui? No. C’è ancora spazio per Francesco Borgonovo, altra prestigiosa firma di Libero. Anche qui le critiche a Massimo Fini, “l’amico dei talebani”, non si sprecano, ma almeno abbiamo a che fare con una disquisizione un po’ più coerente e sul pezzo, nella quale veniamo a sapere quanto in realtà siamo noi gli eroi, i “buoni”, e che siamo autorizzati nel fare quello che facciamo per il semplice fatto che abbiamo ragione. Una deduzione che non fa una piega. Ancora una volta le logiche da tardo-impero salmodiate da un cow boy di carta come Borgonovo, il tipico avventuriero cacasotto, tipicamente occidentale, tipicamente americanizzato, tipicamente “io sono nel giusto, loro no”. E che tanto per intenderci giustifica i bombardamenti come un fatto di reazione all’11 settembre. Bombe sganciate perché la nostra causa ce lo consente (ma abbiamo continuato a farlo ininterrottamente per 10 anni!). Evviva la lotta per la libertà, eccetera, eccetera. E quindi quello che dice Borgonovo è: “chi ce lo fa fare di schierare uomini sul campo?”. Lo dicevo: un cuor di leone. Tuttavia, per quanto si possa non essere d’accordo con il giornalista di Libero, occorre concedergli l’onore di aver rifiutato il metodo Maglie. «A noi non piacciono le tesi del giornalista [Massimo Fini], ci fanno rabbrividire. Ma non ci piace nemmeno l’idea che i libri vengano censurati e ritirati dal commercio o che i loro autori vengano portati in tribunale. Queste cose le fanno i talebani, non i liberali».

Segue la paziente replica di Massimo Fini, talebano per rivendicazione. Egli è costretto a copia-incollare ancora una volta cose dette e stradette per anni. E cioè che lui non difende i kamikaze ma rivendica l’elementare principio di difesa armata di popolo attaccato, che gli afgani hanno tutto il diritto di ammazzare degli invasori senza venire per forza di cose bollati come terroristi, che la libertà dei popoli è sacrosanta così come il principio di autodeterminazione che ha portato i talebani al potere proprio come Renato Schifani in parlamento da noi (oramai è un tormentone), che l’Afghanistan ha tutto il diritto di sbagliare da solo in fatto di politiche interne, culturali e religiose, senza per forza beccarsi le nostre bombe intelligenti sui tetti degli ospedali, che la superiorità morale dell’Occidente sta tutta nelle migliaia di vittime civili e nel capolavoro umanitario che prende il nome di Abu Grahib, che il Mullah Omar propose la testa di Bin Laden a Clinton molto prima dell’11 settembre ed il presidente americano rifiutò per i soliti imperscrutabili e labirintici motivi diplomatici, che non vi erano afgani nel commando terroristico che fece crollare le Torri Gemelle e che colpì il Pentagono, che Bin Laden (qualora fosse ancora vivo e sempre se è quella persona descritta dalle cronache) non si trova più in Afghanistan da anni e che quindi non si spiega questo nostro accanimento contro l’Afghanistan, che ora le minacce semmai si chiamano Pakistan, Arabia Saudita & Co… e si potrebbe continuare ancora per molto. Insomma, un coaugulo di ragionamenti alla portata di un bambino. E infatti Massimo Fini, che può avere tutti i difetti e i torti di questo mondo, infine dà a Borgonovo del lattante («forse perché hai ancora il latte sulle labbra»).

Come al solito, in tutta questa caciara, non si capisce chi siano i veri talebani: chi li difende, con atteggiamento sprezzante e provocatorio, chi invece difende e giustifica una certa cultura “avventuriera” (l’eufemismo più politically correct che sono riuscito ad inventare per designare il sanguinolento sostrato militaresco del nostro Occidente e della sua informazione), o chi si comporta come tali malgrado li aborri, un capolavoro di logica dadaista. La risposta la lascio ai nostri lettori.
Per il resto il sottoscritto ringrazia Libero per aver dato parola a gente come Borgonovo e la Maglie che sono riusciti a farmi rivalutare Mughini.


RIASSUNTO DEI BOTTA E RISPOSTA:


1) Start: la critica di Mughini

2) La risposta di Massimo Fini

3) L’intervento del cow boy Borgonovo

4) La replica di Massimo Fini

5) L’intervento-denuncia della Maglie


AGGIORNAMENTO:

6) L’intervento di Vittorio Feltri

7) Massimo Fini sulla Maglie & Co

P.S. torno velocemente sull’argomento “misoginia di Massimo Fini”. Il nostro, come già detto, ha un rapporto problematico con le donne. Il suo intervento al Fatto Quotidiano di qualche tempo fa (molto simile a questo) ha destato moltissime polemiche, tant’è vero che sia l’articolo che la solidarietà intellettuale di Peter Gomez (che però si era detto in disaccordo sui contenuti) sono stati, a quanto pare, epurati dal blog del quotidiano (alla faccia della libertà d’espressione). Personalmente non so se in questo caso l’intervento di Massimo Fini sia stato più infelice, e cioè inopportuno, oppure più mal interpretato. Ma di una cosa sono certo: date le critiche che sono piovute, la loro entità, i loro toni e, più in generale, lo “spessore” di chi le ha pronunciate, mi fa pensare che in un certo fronte intellettuale femminista/femminile e non, il livello culturale e dialettico sia piuttosto basso. Per questo si raccomanda a certe mentalità semplici e prevenute lo sforzo di leggere un libro come Di(zion)ario Erotico, Manuale contro la donna in favore della Femmina, dove il pensiero del giornalista trova più coerenza e completezza. Dopodichè si potrà certamente dare ancora contro a Massimo Fini, ma con più raziocinio, ché alle volte non si capisce se c’è o ci (si?) fa.

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