The Rais Factor (Seconda Parte 2/2)

di Alberto Bullado.

>>> Continua dalla prima parte.


REALITY SHOCK.
I media internazionali il 20 ottobre 2011 ci spiattellarono in faccia, come hanno sempre fatto (salvo nel caso di Osama Bin Laden, chissà perché…), l’orrore della guerra celebrando, con fare macabro, la dipartita del cattivo di turno (di questo nostro vizio ne abbiamo già parlato qui). La storia contemporanea tracima di cadaveri di tiranni, e non, esposti alle folle. Inutile che spechi tempo ad elencarveli: i nostro quotidiani non hanno fatto altro per giorni. La salma dissacrata di Gheddafi non ha fatto eccezione e quindi ecco il linciaggio del rais quasi in diretta tv e in mondo visione. Un video orribile che non solo ha fatto il giro del mondo ma che, volente o nolente, sancisce la nuova nascita della Libia. Solo che le scene ritratte da quel video non testimoniano alcun sintomo di umanità, di libertà, di democrazia, di civiltà, di progresso. Va da sé che l’episodio non ispira esattamente un bel presagio, perché in fin dei conti non abbiamo contemplato altro che un’esecuzione sommaria, disgustosa, animalesca, e soprattutto vigliacca.
Dice qualcuno: “ma era inevitabile”. O ancora: “dopotutto se l’è meritato”. Qualche semplice osservazione: inevitabile? Ma allora quando e come la democrazia dovrebbe distinguersi per progresso e civiltà rispetto alla violenza dei regimi totalitari o alla rabbia animalesca della massa e dell’irrazionalità? Quella stessa democrazia che desideriamo esportare a suon di bombe ma che non riusciamo a garantire tanto all’estero quanto da noi. Assistiamo quotidianamente a censure, ad applicazioni di reati d’opinione, a violente repressioni, all’esercizio sistematico di mezzi, metodi, e bassezze che al contrario sono propri di governi illiberali. E tutto questo avviene in casa nostra, perché all’estero ci macchiamo di misfatti cento volte più ignobili.

DEMO(N)CRACY. Infatti vale la pena ribadire che le democrazie occidentali si sono finora dimostrate come le forme di governo più aggressive e guerrafondaie della storia contemporanea. Può sembrare paradossale ma, statistiche alla mano, le cose stanno proprio così. Dal dopoguerra in poi il maggior numero di conflitti è stato provocato e combattuto, direttamente o indirettamente, proprio da democrazie occidentali. Guerre spesso chiamate con altro nome, nascoste sotto etichette ipocrite e ridicole, ma pur sempre guerre, sempre più sanguinose e meschine (in una sola parola “antieroiche”, una caratteristica conclamata da studi inerenti all’evoluzione dell’esercizio bellico; ne abbiamo parlato tempo fa commentando il decennale conflitto in Afghanistan). Significativa in questo caso l’evoluzione linguistica, il lessico legato alla guerra ed alla sua truce “diplomazia”. Dall’11 settembre in poi si era parlato di “guerra al terrorismo”. Poi si è passati ad espandere il concetto a qualsiasi altro “stato canaglia” (qualsiasi altro tranne le stesse potenze occidentali), quasi a voler preparare il terreno per nuove avventure. Attualmente quando si sente parlare di “garantire/difendere i diritti umani” state tranquilli che dietro ci sono i bombardieri pronti a partire. Tutto questo in barba  non solo a principi morali e costituzionali ma anche a qualsiasi diritto internazionale. Ecco perché, anche dal punto di vista giuridico (oltre che politico, etico, militare ed “estetico”), le  guerre “democratiche”sono fuori legge, criminali. Alla luce di tutto questo e molto altro uno sguardo disincantato riuscirebbe a distinguere chiaramente la vittima dal carnefice e a porre seri dubbi sulla qualità morale e politica di coloro che intendono occupare lo scranno dei giudici. Davvero Gheddafi s’è meritato quella fine? Allora, se tanto mi dà tanto, cosa ci meriteremmo noi governi occidentali?

“MARTIRE” E TIRANNO.  Prima di affrontare un tema così spinoso come i meriti e le colpe di Gheddafi, va sicuramente detto che ad una demonizzazione occidentale corrisponde una contro-propaganda densa di retorica e demagogia pronta a glorificare, o quantomeno riabilitare, il rais assassinato. Il pulpito è noto ed affollato di antiamericani, antimperialisti, filoarabi, anticapitalisti, (ex) comunisti, socialisti oltranzisti, intellettuali dissidenti, specialisti in geopolitica euroasiatica e avanti di questo passo. Tutta gente che non ha esitato, e che non esita, a celebrare la valenza politica antioccidentale di un leader come Gheddafi. Una personalità in realtà molto più corrotta di quanto questi cantori hanno intenzione di dimostrare, ma che in un modo o nell’altro è riuscito a tenere lontane le tentacolari potenze occidentali quantomeno negli affari interni di un paese sovrano (e, vale la pena sottolinearlo, laico) che grazie agli affari del rais è riuscito a crescere e a svilupparsi come nessun altro paese africano. Sgrassando tale fronte d’opinione di un’evidente pendenza ideologica nazionalista, occorre precisare che la Libia prima della guerra era un paese, dati alla mano, niente affatto afflitto, indebitato e pure sorprendentemente ricco (indennità di disoccupazione di 730$ mensili, Pil pro-capite: 14.192$, rapporto debito/Pil del 3,3%, sovranità monetaria nelle mani del Governo: queste ed altro lo potete verificare qui, qui e qui). Dati oggettivi che testimoniano le ragioni di un consenso in patria estremamente coriaceo anche durante la capitolazione del rais, il quale non avrebbe di certo resistito così tanto senza il sostegno di gran parte del popolo libico (secondo molte fonti la maggioranza della popolazione[1]). Abbiamo quindi a che fare con un leader sicuramente autoritario, probabilmente sanguinario[2] (anche se i bombardamenti sulle folle, tanto quanto le famose fosse comuni, sono con ogni probabilità delle bufale, come ha dimostrato qualcuno), ma che ad ogni modo, oltre che a condurre i propri affari (il clan Gheddafi si è riempito di soldi con il petrolio libico), ha sicuramente curato anche l’interesse economico e politico del proprio paese di fronte allo strapotere occidentale. Ecco perché, alla luce dei fatti, la rivolta libica è una rivolta anomala e che difficilmente avrebbe potuto avere un largo consenso. Anzi, non lo è mai stata. In realtà si è trattata di un’operazione condotta da una minoranza più o meno manovrata dalle forze occidentali (Francia, Inghilterra, Stati Uniti) e sicuramente foraggiata e spalleggiata militarmente dalla Nato. Più che una rivoluzione di massa si è trattato di un golpe, di matrice estera più che interna (se non altro per motivazioni e modus operandi). Se certi sponsor di Gheddafi come il premier venezuelano Hugo Chavez fanno storcere il naso all’opinione pubblica occidentale, la simpatia di altri leader africani nei confronti di Muammar, tra cui Nelson Mandela («Those who feel irritated by our friendship with President Gaddafi can go jump in the pool» vedi Guardian 21/02/2011) la dice lunga sulla controversa popolarità del rais libico, guarda caso disprezzato e demonizzato a senso unico solamente da chi ha voluto (perché gli è convenuto) farlo fuori.

GIUDICI, CARNEFICI E BECCHINI. Come se non bastasse la disinformazione, l’insensibilità, per non dire la gioia provocata dalla morte del rais, testimoniano una pericolosa forma mentis della nostra opinione pubblica. Ricollegandomi al discorso di poco prima, “Gheddafi s’è meritato di morire in quel modo”, c’è da chiedersi se la democrazia debba adottare, o non perseguire, il principio dell’occhio per occhio e dente per dente anche in caso di verificati soprusi. Senza mai dimenticare il fatto che stiamo pur sempre parlando della carica maggiore di un paese sovrano e soprattutto straniero. Vita, morte e modalità di esecuzione devono essere davvero alla nostra portata? Ancora una volta ci si arroga il diritto di determinare quale sia una vita umana di serie A ed una di serie B, chi è degno di vivere, chi di morire e come. Sarò strano io, ma a me sembra di intravedere un fastidioso dejà vu… Bisognerebbe inoltre comprendere e determinare i discrimini di una tale valutazione. Nel caso di Gheddafi ciò che apprendiamo dai media internazionali e dalla propaganda politica di Stati e nazioni che in tutti questi anni si sono dimostrati tutt’altro che potenze illuminate? Una domanda credo legittima che pongo a tutti i “giustizialisti” che con un certo compiaciuto sadismo hanno contemplato simpaticamente la morte di un uomo, forse un tiranno, quasi sicuramente uno stronzo, oggettivamente un nababbo che primeggiava in cattivo gusto, ma pur sempre un uomo, al cospetto, non di uomini, ma di una moltitudine disumana, una folla animalesca sollevata proprio dai nostri governi. Inoltre basterebbe rimembrare le atroci immagini di certe decapitazioni, di certi ostaggi sgozzati, provenienti dai soliti teatri di guerra, per ricordare l’orrore e l’indignazione delle platee occidentali e della nostra stessa opinione pubblica. In quei casi repulsione e rabbia a go go. Eppure parliamo di massacri condotti anch’essi in “buona fede”, in nome di ideali ritenuti dagli stessi carnefici, per una qualche ragione, superiori.  Mi chiedo dove stia la differenza con il linciaggio di Gheddafi se non nell’efferatezza, ma poi nemmeno così tanto, del gesto in sé. E ancora mi domando come non abbiano potuto inquietare i motti che accompagnavano le urla di giubilo di quella medesima folla sanguinaria che sospingeva un rais insanguinato e moribondo: “Allah akbar! Allah akbar!” Rieccolo il fanatismo a condire una violenza che risulta già di per sé ignobile. Se poi andiamo a prendere le stesse dichiarazioni di Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), fino all’altro giorno leale al rais e Ministro della Giustizia di Gheddafi, si capisce che l’inquietudine si amplifica, un’inquietudine che dovrebbe risvegliare l’intelligenza di chi ci comanda. E se non la loro almeno la nostra.

CINICI E GIOCONDI. Alla spregevole ed intima malvagità dell’opinione pubblica occidentale va aggiunto il beota cinismo di quella italiana. Qualche tempo fa le motivazioni squallidamente economiche di un conflitto portate doverosamente a galla (vedi Afghanistan ed Iraq) erano causa di impopolarità ed indignazione. Ora non è più così. Il “guadagno”, la speculazione, il calcolo utilitaristico e geopolitico vengono al contrario recepiti dalla nostra opinione piubblica, dopo anni ed anni di espansionismo conclamato, un surplus che ci fa fare la guerra con l’anima in pace. Una volta era l’indoratura retorica (tuttora fondamentale) della “guerra giusta” a sobillare l’opinione pubblica. Ora vale anche, e a maggior ragione, il principio della “guerra conveniente”. Difatti la storia contemporanea ci insegna come i conflitti moderni prevedano sicuramente un grande costo (umano e di risorse) ma soprattutto un altrettanto grande business (soprattutto se valutato sulla lunga distanza) per chi la guerra la fa e, alla fine, la vince. Nel caso della Libia gli occidentali e non il popolo libico. Vincitori anche gli italiani? È proprio questo il punto: probabilmente no.

Poco prima della guerra i media d’opposizione (e per la verità non solo quelli, ma anche Libero ed il Giornale, che hanno sempre mantenuto una linea contraria all’intervento in Libia ritenendo criminali le pretese della Nato, della Francia e dell’Inghilterra) avanzarono dure critiche al governo in procinto di appoggiare la coalizione occidentale in quanto si sarebbe trattato di un conflitto a noi sconveniente, per tutta una serie di motivi peraltro piuttosto evidenti (la Lega stessa si è sempre opposta all’invasione della Libia). Ora, a guerra ultimata (in realtà è ancora tutto da vedere), o quantomeno in seguito alla morte dell’orco cattivo, sono in molti a sfregarsi cinicamente le mani, sbavando al pensiero del petrolio libico. Poveri scemi. Semmai è proprio vero il contrario. L’Italia vantava un primato economico sugli scambi con i libici, favoriti anche da una serie di fattori storici e politici che sono venuti meno proprio a causa di questa guerra che, al contrario, asseconderà maggiormente gli interessi francesi ed inglesi che in questo modo si sono ripresi una buona fetta di Mediterraneo, un’egemonia (della quale fanno parte anche l’Egitto e la Tunisia) che per molto, troppo tempo era sfuggita loro di mano. Volendo spingerci oltre si potrebbe addirittura chiosare che la cosiddetta “Primavera Araba” non ha fatto altro che rinsaldare il potere occidentale sulle coste del Mare Nostrum, ora come ora, sempre meno “nostrum”.

PROSPETTIVE ED INQUIETUDINI. Per concludere non è più sufficiente risollevare la solita ed annosa questione del grado di civiltà raggiunto dalle nostre democrazie, guerrafondaie e doppiogiochiste, volgari carnefici (a settembre Amnesty International parlava di 11.000 vittime civili sotto i bombardamenti della Nato in Libia) e politicamente lascive come tante prostitute. Lo sterminato curriculum di crimini, guerre, atrocità e viltà dell’occidente rimettono come sempre in discussione il nostro primato culturale, politico e morale. Ma tutte queste sono valutazioni che in questo caso non possono bastare. Maggiori inquietudini provengono dalle ceneri della Libia, così come dall’intero Medio Oriente baciato dalla “Primavera Araba”. Abbiamo già parlato di Jalil, delle sue dichiarazioni e delle conseguenze politiche della “liberazione” libica. Oscure notizie provengono anche dalla Tunisia: alle recenti elezioni il partito islamista Ennahda ha preso il 40% dei voti (vedi qui). Un partito illegale fino allo scorso gennaio, legato ai Fratelli Musulmani ritenuti responsabili di svariati attacchi terroristici negli anni ’80. Il leader del partito, Rachid Ghannouci, si dice sia sodale amico di Yusuf Qaradawi, imam che augura frequentemente la morte di infedeli ed ebrei. Morale della favola? La fine della Tunisia laica che tutti conoscevamo. Persino in Turchia, nazione più occidentale dell’intero Medio Oriente, stanno crescendo forze islamiche che adottano stratagemmi politici per potersi affermare. Tutto questo mentre si attendono le elezioni in Egitto, previste per il 28 novembre (sperando che abbiano esiti positivi). In una visione d’insieme costringe a valutare una possibile connessione tra forze islamiste in Libia, in Tunisia, in Turchia, in Egitto, in Palestina e in Siria: una nuova generazione legata all’ideologia della mezzaluna opposta a quella ventata di democrazia, libertà, laicità e progresso salutata positivamente, e con una certa superficialità, dall’opinione pubblica occidentale.


[1] A proposito di questo tema si sono espressi molti intellettuali, giornalisti e qualche rappresentante politico. Numerose in questo senso le testimonianze dirette di persone che hanno vissuto in Libia, tra cui moltissimi italiani (vedi qui e qui).

[2] Ricordiamo che dietro alcuni attentati europei c’era probabilmente il suo zampino ( vedi Lockerbie in Scozia, la discoteca berlinese “La belle”, il dirottamento dell’Achille Lauro). D’altro canto molte potenze straniere hanno cercato di far fuori il rais prima che diventasse un despota pregiato con il quale fare affari, come testimonierebbero certe verità indicibili celate dietro l’irrisolta Strage di Ustica…

P.S. il titolo di questo articolo fa esplicitamente riferimento alla puntata di Blob 21 ottobre 2011. Clicca sull’immagine per visionare il video.

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