L’intellettuale non è uno stronzo (dibattito intellettuali Cam#04)

di Emanuele Caon.

Gli intellettuali non sono degli stronzi. Certo, qualcuno lo è stato ma non tutti. La maggior parte di loro ha avuto semmai la sola colpa di essere stata inutile per il progredire della società, ma delle innumerevoli persone che hanno messo piede sulla Terra quante potrebbero dire il contrario di se stesse? Anche se tutto dipende dal concetto personale che si dà alla parola “inutile”, credo che poche persone possano autodefinirsi storicamente fondamentali. Inoltre, se le false verità che gli intellettuali hanno proposto sono state prese per buone, la colpa  è da attribuire anche alla collettività che le ha accettate e fatte proprie. Voglio dire, se diamo dello stronzo all’intellettuale in generale, se lo accusiamo di essere pericoloso, è come se dicessimo lo stesso a tutto il genere umano che non si è opposto ma ha assecondato il pensiero di certi intellettuali.

Ma andiamo con calma. All’inizio della storia umana l’intellettuale è associabile al sacerdote, ovvero a quelle persone che con la giustificazione di essere i portavoce di entità divine, e successivamente di una sola, imponevano la verità assoluta al resto degli uomini, decidendo quali fossero i comportamenti giusti e quali invece da considerarsi offensivi verso il divino. Certamente accusare la collettività di questo momento storico di essersi comportata come un gregge al seguito di questi falsi oracoli sarebbe un po’ eccessivo. Non va infatti dimenticato che in tempi antichi, e a volte ancora oggi, osare muovere critiche verso l’interdetto divino era considerato un affronto pagabile, alle volte, persino con la vita. Ricordiamoci inoltre che i mezzi culturali a disposizione dei più erano davvero pochi. Ogni uomo si interrogava sull’ignoto, sulla vita e sui misteri della natura, ma era impossibile per la persona comune trovare una risposta, in maniera autonoma, a queste domande e quindi era prevedibile che queste risposte venissero date dai sacerdoti, i quali esercitavano una grandissima influenza sulle menti, dettata dall’altrui paura dell’ignoto e dall’esercizio delle pratiche divinatorie.

Compiamo un salto di parecchi secoli. Ai tempi dell’umanesimo è l’uomo ad essere elevato a “centro dell’universo”. Ma questo solo in teoria, poiché il destino di cui ogni essere umano dovrebbe essere artefice è in realtà determinato da altri: i colti e i potenti, quindi dal potere con l’avvallo, per convinzione o convenienza, degli intellettuali. D’altra parte in questo frangente storico le colpe da addebitare alla collettività sono maggiori poiché la fascia di popolazione che ha accesso alla cultura inizia ad allargarsi. Tuttavia la massa rimane ancora nelle mani di pochi. L’analfabetismo affligge vastissime fasce della popolazione ma rispetto al passato esistono più strumenti grazie ai quali le nuove classi alfabetizzate hanno, almeno in linea teorica, la possibilità di immunizzarsi contro le verità assolute.

Facciamo un altro salto in avanti. Ripercorrendo il ‘900 ci si accorge di esserci lasciati alle spalle il secolo delle tragedie, dei disastri e delle guerre: un secolo di morti, niente di nuovo o di scandaloso se si considera l’intera storia dell’uomo. Non sono d’accordo nell’attribuire le colpe delle stragi del XX secolo agli intellettuali, specie quelli impegnati, soprattutto se li si tratteggia come dei mostri malati di protagonismo che con il pretesto di portare l’umanità alla salvezza ci hanno al contrario trascinati nella catastrofe. Credo che la responsabilità di certi eventi sia da imputare in parte anche alla collettività. Infatti la massa è data dalla somma di singoli individui, che in quanto tali sono dotati di capacità critiche e che di conseguenza devono essere responsabili delle loro azioni. Qualcuno potrebbe controbattere che opporsi ai regimi era pericoloso, che la gente non sapeva e non voleva che accadessero certe cose. Ebbene lo stesso potrebbe valere anche per gli intellettuali, e non va dimenticato che per quanti c’è ne fossero stati di messi al servizio del potere ve ne erano altri scagliati contro le dittature, finiti nei campi di concentramento, nei gulag, nelle prigioni, o anche assassinati.

Infine, giungendo ai nostri giorni, arriviamo a descrivere una realtà nella quale tutti hanno libero accesso alla cultura, o almeno questo vale per il mondo occidentale. Possediamo quindi tutti i mezzi necessari per costruirci le nostre idee. Affidarsi ciecamente all’arbitrio degli intellettuali o guardare agli intellettuali impegnati come a dei salvatori dell’umanità è, ancora una volta, una colpa della collettività che non si può giustificare dando loro semplicemente degli stronzi. Se in passato gli intellettuali si sono organizzati in oligarchie impazzite questo è avvenuto perché la massa gliel’ha consentito.
Ricordiamoci che prima di tutto l’intellettuale è un uomo, e  come tale può essere soggetto ai soliti difetti del genere umano: incapacità di opporsi al potere, ambizioni personali, desiderio di facili guadagni, disinteresse del bene comune. Infatti gli aggettivi positivi non appartengono per definizione all’intellettuale, non è automatico che un intellettuale sia bravo e impegnato. Se però sentiamo la mancanza degli intellettuali impegnati un motivo ci sarà. E io personalmente la sento, però credo che l’intellettuale non debba essere preso come un oracolo, ma debba essere visto come una figura che fa dell’esercizio dell’intelletto una vera e propria professione e quindi una persona che possa avere più tempo da dedicare alla conoscenza e al ragionamento su certe tematiche. Dunque sento il bisogno di queste figure non per volontà di seguire ciecamente il pensiero altrui, solo perché giustificato da una maggiore cultura e riflessione, ma perché percepisco la necessità di avere nuovi spunti su cui riflettere, nuove idee. E credo che sia un bisogno sentito da un numero sempre crescente di persone, perché se come sta accadendo in Italia i problemi aumentano, e il futuro diviene sempre più un mistero privo di ogni sicurezza, le domande dei cittadini inizieranno a crescere e a farsi sentire con maggior forza, ci sarà dunque la ricerca di quelle persone in grado di dare certe risposte. Credo che questa ricerca, mi auguro non di risposte da prendere come verità preconfezionate ma di buone idee da valutare, possa portare al ritorno degli intellettuali, peraltro mai veramente scomparsi. Perché se cercheremo il prodotto delle menti, come qualcosa di utile, di necessario, guidati dalla convinzione che la cultura è importante e che l’intelligenza per essere usata bene debba essere messa al servizio della società, gli intellettuali si troveranno a produrre qualcosa di interessante, di vendibile, che nella nostra società dei consumi vuol dire tutto. Ciò che si vende appare, esce dell’ombra e diventa accessibile a tutti. Se vogliamo dunque che la ragione e la cultura diventino importanti, ci troveremmo anche maggiormente a contatto con gli intellettuali, magari evitando la fede cieca in falsi miti.

Riassumendo, usare l’appellativo stronzi per definire la classe intellettuale per me è sbagliato, primo perché se sono tali lo sono in quanto uomini e non come intellettuali, e secondo perché i mali di cui si sarebbero macchiati gli intellettuali gli sono stati permessi dalla collettività. Inoltre a giocare un ruolo fondamentale vi è sempre il potere politico ed economico difficile da contrastare in qualsiasi periodo storico, e per qualsiasi classe sociale, intellettuali compresi.

Ma vogliamo che emergano nuove idee, nuove riflessioni, da indagare privatamente con il nostro pensiero? Vogliamo credere che un miglioramento della società sia possibile, ma solo se guidato dalla cultura, dal pensiero critico, da una nuova sensibilità? Sì? Allora prepariamoci ad un altro giro della giostra, sperando sia il migliore di quelli visti finora. Perché questa volta non avremo scuse, non potremmo dare degli stronzi agli altri per giustificarci, perché oggi la cultura è di tutti, non si può più seguire ciecamente il pensiero altrui e poi dichiarasi inconsapevoli, quindi innocenti. Perché oggi non sapere certe cose è una scelta, di conseguenza una colpa, è giunto almeno il tempo di prendersi le proprie responsabilità, e di guardare agli intellettuali non più come a dei fari nella notte, ma come a un semplice aiuto per trovare la strada giusta. Solo così assisteremo al ritorno dell’intellettuale impegnato, senza il rischio di farci trascinare da false verità verso strade che portano alla tragedia umana, al disastro morale e all’insensibilità sociale.


Questo articolo rientra in un dibattito più ampio affrontato dal nostro ultimo numero di Conaltrimezzi:



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