Paolo Volponi – Il sipario ducale

di Tommaso De Beni.

Il sipario ducale è un romanzo particolare sin dalla sua genesi. Fu infatti scritto in pochi mesi “per protestare” contro il gusto dei critici e dei lettori italiani che nel 1974 accolsero con favore La storia di Elsa Morante (romanzo che venne pubblicizzato in una maniera che in un certo senso anticipò i vari “casi editoriali” dei decenni successivi) snobbando Corporale, romanzo molto sperimentale che fu penalizzato da una controversa vicenda editoriale. Venne in pratica stampato di nascosto dalla Garzanti a fine 1974 per poi essere ripubblicato all’inizio dell’anno successivo dalla Einaudi che nel frattempo aveva aperto un contenzioso con l’autore, il quale reagì scrivendo di getto un altro romanzo, più tradizionale. Il sipario ducale come La storia presenta un impianto narrativo di modello ottocentesco: se Morante guardava a Dostoevskij Volponi aveva invece in mente Manzoni.
Il protagonista è un intellettuale di sinistra, il professor Gaspare Subissoni, che vive a Urbino con la compagna Vivés. Il romanzo si apre proprio con l’immagine del professore che traccia sulla neve una scritta contro l’Unità d’Italia, il cui centenario si era festeggiato otto anni prima rispetto a quando è ambientato il romanzo. Subissoni e Vivés hanno combattuto a fianco degli anarchici durante la guerra civile spagnola, quindi sono dei rivoluzionari in pensione che portano con sé un pezzo importante della storia contemporanea europea. Fuori dalla storia vive invece il rampollo di una nobile famiglia aristocratica di Urbino, gli Oddi-Semproni, di cui a inizio romanzo si narra la lunga provenienza tramite un excursus sul ‘500 e sul ‘600. Egli aspetta, chiuso nell’avito palazzo, di compiere la maggiore età per entrare a tutti gli effetti a far parte di “quelli che contano” nella società; nel frattempo trova in Dirce, una ragazza del popolo, la compagna ideale per dare una discendenza alla sua stirpe. Il romanzo racconta così parallelamente le vicende di due personaggi agli antipodi, un nobile virgulto pronto per divorarsi il mondo e un vecchio rivoluzionario stanco e annoiato, colpito per lo più dalla perdita dell’amata compagna Vivés. I due personaggi arriveranno alla fine del romanzo a incrociarsi e sfidarsi, dopo che un evento tanto cruciale quanto fosco per l’Italia spingerà Subissoni ad uscire dal letargo. La strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (di cui proprio oggi è l’anniversario) viene vissuta in maniera completamente diversa dai due protagonisti: il nobile segue distrattamente l’evento alla televisione sentendosi tanto più estraneo ai fatti quanto più essi sono gravi, mentre il professore pensa subito alla fragilità della democrazia e dello Stato italiani. Sarà la morte di Vivés, che ha pensato subito ai compagni anarchici, a convincerlo ad andare a Milano e a non lasciare che la storia sia solo una pellicola diretta da qualcun altro che ci passa semplicemente davanti. Essa è in realtà la vera protagonista del romanzo, sia quando è un mero dato di cronaca familiare, sia quando cambia la vita delle persone fissandosi in date immortali, come quella dell’Unità d’Italia, sia quando è legata a vicende personali e politiche, come nel caso della guerra civile spagnola, sia quando fa irruzione nella normalità, come nel caso dello scoppio delle bombe, la cui responsabilità venne inizialmente attribuita agli anarchici, che trent’anni prima avevano tentato di salvare la Spagna e l’Europa dalle derive fasciste e totalitarie. Corsi e ricorsi storici, direbbe Vico; ma se la storia si ripete allora noi abbiamo la responsabilità almeno di non dimenticarla, ma non dobbiamo fermarci qui. Occorre anche cercare un rapporto vivo e autentico con essa. A quarantadue anni di distanza dalla strage, la prima purtroppo di una lunga serie, ora che la storia giudiziaria sembra (e occorre sottolineare “sembra”, perché non sempre il tempo sistema le cose) aver chiarito che le responsabilità sono attribuibili a gruppi terroristici di estrema destra con l’aiuto di parti corrotte e deviate dell’apparato statale, mi pare che leggere Il sipario ducale di Paolo Volponi, oltre che ovviamente informarsi con precisione sulla strage e sulle vicende giudiziarie di questi anni, possa essere un buon modo di riflettere sulla nostra appartenenza a questo Stato e sulla nostra responsabilità civile.

Paolo Volponi, Il sipario ducale, Milano, Garzanti, 1975. (Ora pubblicato da Einaudi)

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