Arte contemporanea? Ne abbiamo parlato con Guido Bartorelli


di Paolo Radin.

Pubblichiamo un’intervista a Guido Bartorelli, riceratore e docente di storia dell’arte contemporanea dell’Università di Padova. Particolarmente attivo nella promozione di giovani artisti, al di là dell’ambito accademico, Bartorelli è promotore e organizzatore della rassegna Nuovi Segnali 2011 allestita in queste settimane presso la mensa universitaria di via S. Francesco.

Alla luce dei cambiamenti di prospettiva che l’arte del ‘900 ha comportato rispetto alla sua stessa definizione, cosa e come si potrebbe definire arte oggi?

Per provare a rispondere non posso che riferirmi alle teorie estetiche attuali, come quella di Arthur Danto, che oggi va per la maggiore, o quella di Luciano Nanni, purtroppo non debitamente considerata, ma di una lucidità tale da dare dei punti allo stesso Danto. L’estetica del ‘900, potremmo anche dire del “dopo Duchamp”, si è accorta che l’artisticità non è una caratteristica materiale di un oggetto, ma una modalità di esperienza. Non sta nell’oggetto, ma in noi che ci rapportiamo a esso come opera d’arte.

Ogni qual volta si dà una definizione di ciò che è arte basandosi su specifiche proprietà materiali o intenti programmatici dell’autore, si finisce per tagliar fuori tante cose che pure riconosciamo come arte, ma che non hanno le intenzioni e le caratteristiche che precedentemente abbiamo utilizzato per definirla. Se, ad esempio, definissimo arte ciò che ci emoziona, di certo ci starebbe dentro agevolmente Van Gogh, ma perderemmo il cubismo più intellettuale di Picasso e Braque. Il che è assurdo. Nanni pone una domanda che davvero mette alle strette: cosa mai può accomunare due opere d’arte indiscutibili quali i Promessi sposi di Manzoni e la Merda d’artista di un altro Manzoni? Ebbene nulla, se non il nostro sguardo, il nostro atteggiamento che si dispone a fruire di un’opera d’arte. Tutto dipende da come ci si pone davanti a una determinata cosa: ci si può limitare a usarla, instaurando con essa un rapporto pragmatico-utilitaristico, e allora siamo al livello di una pacifica, noncurante ordinarietà; oppure si può iniziare a contemplare quella stessa cosa, a “sentirla”, a interrogarsi sul suo significato. In quel momento, guardandola come si guarda un’opera d’arte, si fa diventare quella cosa un’opera d’arte.

Nonostante rimanga molto spesso oscura e faccia riferimento ad un contesto storico che non è più il nostro, il pubblico comune d’oggi sembra più propenso verso l’arte moderna (rinascimentale e barocca), rispetto all’arte contemporanea. Pur condividendo il medesimo milieu socio-culturale dell’artista, il pubblico tende a percepire l’arte contemporanea come distante, incomprensibile ed elitaria. Da dove deriva questa incomprensione?

E’ fare un torto all’arte moderna pensare che sia più “facile” rispetto l’arte contemporanea. Opere celeberrime del nostro Rinascimento quali la Primavera di Botticelli o la Scuola di Atene di Raffaello esprimono contenuti che escludono il pubblico non colto, che non ha quel bagaglio culturale raffinato e volto al passato che è indispensabile per intenderle correttamente. Oggi come allora, le cose non sono cambiate. Se una persona non si addentra in un determinato ambito, ne rimane esclusa. E questo vale per qualsiasi ambito in cui si fa ricerca: cosa capiamo della scienza che si fa oggi, se non ci mettiamo, con impegno e umiltà, ad acquisirne i cosiddetti “fondamentali”? Non sorprenda se accosto l’arte alla scienza. L’arte non è un mero diversivo, all’insegna di quella cosa inconsistente che sarebbe il “bello” qualora lo svincolassimo da quel preciso contesto socio-culturale cui tu ti sei riferito. Mi accorgo che può sembrare che io contraddica quanto appena affermato sull’impossibilità di definire l’arte sulla base di qualcosa di oggettivo. In realtà ora siamo scivolati nell’ambito della valutazione e non più della semplice distinzione di cosa è o non è arte. Una volta che mi rapporto a qualcosa come opera d’arte, è mio diritto/dovere valutarla e la valutazione è positiva se, come nella scienza, vi è in essa un serio lavoro di ricerca che miri a rispondere alle esigenze dei tempi in cui si vive. Di fronte a un’opera di questo tipo si rimane spiazzati se non vi è curiosità di approfondire, se non si ha la pazienza di farsi una competenza specifica. Si ha l’illusione ottica che l’arte del Rinascimento sia più facile perché l’abbiamo studiata a scuola e ne siamo diventati un minimo competenti. Quindi, se ci troviamo di fronte alla Scuola di Atene di Raffaello, abbiamo un’idea, per quanto vaga, di cosa ci sta davanti. Se invece ci troviamo di fronte, per esempio, a un Duchamp, rimaniamo sconcertati perché non sappiamo da che parte affrontarlo. Nessuno ce l’ha insegnato, pur essendo l’arte contemporanea parte integrante della vita attuale.

C’è inoltre chi ritiene che la rappresentazione visiva, su cui si basa l’arte moderna, costituisca un fattore di godimento naturale, immediatamente condivisibile da tutti. In realtà è stato dimostrato che si tratta di un’istituzione culturale legata a una determinata epoca o, se vogliamo, alla nostra civiltà. Chi non vi appartiene, ossia non ha frequentato le nostre scuole, i nostri musei, le nostre chiese, non condivide affatto tale naturalezza. La rappresentazione moderna è un patrimonio inestimabile. Ciò non toglie che si possa sperimentare dell’altro e che, magari, un giorno vivremo questo altro con altrettanta immediatezza con la quale vediamo oggi un dipinto di Raffaello.

Recuperando Barilli, ne I miei eroi afferma che in una società da Avanguardia Normalizzata gli artisti sono cresciuti in profondo e diretto contatto con il linguaggio artistico recuperato, mediato e diffuso dai mass media a partire dagli anni ‘70. In un contesto di questo tipo come si è sviluppato e si sviluppa il rapporto tra arte e mass-media? Quanto l’arte deve ai mass-media e quanto i mass-media devono all’arte?

Il rapporto è strettissimo, anche perché totalmente reciproco: da una parte i media saccheggiano l’arte delle sue invenzioni, dall’altra l’arte ricava da tv e computer spunti inesauribili. Forse parecchi artisti attuali hanno scoperto le tecniche dell’avanguardia nei videogame prima che nei musei. E poi vi sono tantissimi casi di pubblicitari e video maker che sono finiti in mostre d’arte. Ricordo, per esempio, il caso di Chris Cunningham inviato alla Biennale d’arte di Venezia. Permangono comunque delle differenze nelle finalità: tutto quello che vediamo in uno spot o in un videoclip ha una motivazione commerciale, è indirizzato e regolato da precise strategie aziendali; mentre l’artista odierno è, in linea teorica, molto più libero, anche se di fatto viene sottoposto, anche lui, a molti condizionamenti.

Durante una conferenza, Oliviero Toscani ha affermato che le forme espressive dell’arte contemporanea sono quelle della società di massa. Ne consegue che dovrebbero essere fotografia, moda, design e cinema, mentre forme espressive tradizionali, come scultura e pittura, risulterebbero ormai decadute. Condivide tale riflessione? Il rapporto che esiste fra le diverse forme di arte è cambiato rispetto al passato? Le forme tradizionali in che rapporto sono oggi con altre, molto spesso recentissime, come cinema e fotografia?

Da quel che mi sembra di capire, Oliviero Toscani cercava di tirare l’acqua al suo mulino: la sua opera, infatti, è espressione di una creatività che non si appoggia al sistema dell’arte e magari alle sue tecniche più antiche, ma al sistema dei media con relative tecniche fulminee, efficientissime, in grado di raggiungere un pubblico totale. Il discorso fatto da Toscani potrebbe essere condivisibile se si fosse riferito all’immagine, non all’arte. Oggi siamo sommersi da immagini che non sono né dipinti, né sculture. Un tempo non era così: erano gli artisti, tramite pittura e scultura, a creare l’immaginario collettivo, che certo era decisamente più esiguo dal punto di vista quantitativo. Oggi altri professionisti, ossia i pubblicitari o i cosiddetti “creativi” in genere, hanno effettivamente sorpassato l’artista in questo compito. Essi sfruttano tecniche e strategie che hanno messo fuori gioco la lenta, sofferta laboriosità di pittori e scultori. Al cospetto di ciò, agli artisti si danno due opzioni: o si pongono in concorrenza con l’immagine pubblicitaria, utilizzandone i medesimi mezzi tecnici ed espressivi, oppure persistono nell’utilizzare tecniche più riflessive, legate alla tradizione, avendone inteso il potenziale di rottura dato proprio dalla loro inattualità.Pittura e scultura sono apparentemente tagliate fuori dal nostro modo di produrre e fruire le immagini, perché lente e vincolate alla creazione di pezzi unici. In realtà, però, l’inattualità di questi mezzi si può rovesciare in un forte motivo per praticarle: la loro lentezza rende pittura e scultura il territorio più adatto a una riflessione sull’essenza stessa dell’immagine e dell’arte. Proprio a Padova abbiamo un grande artista che da sempre sta lavorando in questo territorio, Antonio De Pascale.

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